martedì 19 maggio 2009




Amici, concittadini, romani! Prestatemi orecchio. Io vengo a seppellire Cesare, non a lodarlo.
Il male che gli uomini fanno sopravvive loro, il bene è spesso sotterrato con le loro ossa.
Così sia per Cesare.
Il nobile Bruto vi ha detto che Cesare era ambizioso.
Se ciò era vero, quella fu una grave colpa, e gravemente Cesare l’ha scontata.
Qui, con il permesso di Bruto e degli altri (perché Bruto è uomo d’onore, e così sono tutti, tutti uomini d’onore) io vengo a parlare al funerale di Cesare.
Egli era mio amico, leale e giusto con me; ma Bruto dice che era ambizioso, e Bruto è uomo d’onore.
Egli ha portato molti prigionieri a Roma, il cui riscatto ha riempito le casse dell’erario: fu questo un atto di ambizione?
Quando i poveri hanno pianto, Cesare ha pianto. L’ambizione dovrebbe essere fatta di più dura stoffa.
Tuttavia, Bruto dice che era ambizioso, e Bruto è uomo d’onore.
Tutti voi avete visto che alla festa dei Lupercali io gli ho offerto tre volte una corona regale, che lui tre volte ha rifiutato.
Era ambizione, questa?
Tuttavia, Bruto dice che era ambizioso, e certamente Bruto è uomo d’onore.
Io non parlo per smentire ciò che Bruto ha detto, ma sono qui per dire quello che so.
Tutti voi lo amavate un tempo, non senza ragione; quale ragione vi trattiene allora dal piangerlo?
O giudizio, ti sei rifugiato presso bestie brute, e gli uomini hanno perso la ragione.
Abbiate pazienza, il mio cuore è nella bara, lì, con Cesare, e devo fermarmi fino a che non ritorni a me.
Solo ieri la parola di Cesare avrebbe potuto reggere contro il mondo intero; ora egli giace lì, e non c’è nessuno così misero da concedergli riverenza.
O Signori, se io fossi disposto ad agitare i vostri cuori e le vostre menti alla rivolta e al furore, farei torto a Bruto, e torto a Cassio, i quali, voi tutti lo sapete, sono uomini d’onore.
Non farò loro torto; preferisco fare torto al morto, fare torto a me stesso, e a voi, piuttosto che fare torto a siffatti uomini d’onore.
Ma ecco una pergamena col sigillo di Cesare; l’ho trovata nel suo studio; è il suo testamento.
Se solo il popolo udisse questo testamento, che, perdonatemi, io non intendo leggere, tutti andrebbero a baciare le ferite di Cesare morto e a immergere i fazzoletti nel suo sangue sacro; sì, e a mendicare un suo capello per ricordo e, morendo, ne farebbero menzione nel testamento, lasciandolo come una ricchezza alla loro discendenza.
Abbiate pazienza, gentili amici; non devo leggerlo.
Non è opportuno che sappiate quanto Cesare vi amava.
Non siete legni, non siete pietre, ma uomini; ed, essendo uomini, ascoltare il testamento di Cesare vi infiammerà, vi renderà folli.
E’ bene che non sappiate che voi siete i suoi eredi; perché, se lo sapeste, che cosa ne seguirebbe?

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