domenica 31 maggio 2009

Poesia: "Nessuno a protestare" di Bertold Brecht





Prima di tutto vennero a prendere gli zingari
e fui contento, perché rubacchiavano.
Poi vennero a prendere gli ebrei
e stetti zitto, perché mi stavano antipatici.
Poi vennero a prendere gli omosessuali,
e fui sollevato, perché mi erano fastidiosi.
Poi vennero a prendere i comunisti,
e io non dissi niente, perché non ero comunista.
Un giorno vennero a prendere me,
e non c’era rimasto nessuno a protestare.

mercoledì 20 maggio 2009

Testo: ""Non abbiamo niente di cui aver paura, salvo la paura stessa" di Franklin Delano Roosvelt


Franklin Delano Roosevelt
32° Presidente degli Stati Uniti d’America
(1882 - 1945)
"Non abbiamo niente di cui aver paura, salvo la paura stessa" (4 marzo 1933)

Presidente Hoover, signor Giudice Supremo, amici.
Questo è un giorno di solennità nazionale, e sono certo che in questo giorno i miei connazionali si aspettano che, nell’assumere la presidenza, mi rivolga a loro con la franchezza e la fermezza che l’attuale situazione del nostro popolo esige. Questo è decisamente il tempo di dire la verità, tutta la verità con franchezza e coraggio.
Né abbiamo bisogno di evitare di affrontare onestamente le condizioni del nostro paese, oggi. Questa grande nazione resisterà come ha resistito, risorgerà e prospererà. Quindi, innanzitutto, desidero affermare la mia sicura convinzione che non abbiamo niente di cui aver paura, salvo la paura stessa, la paura anonima, irrazionale, ingiustificata che paralizza gli sforzi necessari per trasformare il regresso in progresso.
In ogni ora oscura della nostra vita nazionale, una leadership franca e vigorosa si è incontrata con la comprensione e il supporto del popolo stesso, che è essenziale per la vittoria. Sono convinto che darete ancora quel supporto alla leadership, in questi giorni critici.
Con questo spirito, per quanto è nella mia e nella vostra parte, affrontiamo le nostre difficoltà comuni. Queste riguardano, grazie a Dio, soltanto aspetti materiali. I titoli sono precipitati a livelli irrisori; si è verificato un incremento delle tasse; il nostro potere d’acquisto è caduto; ogni ramo dell’amministrazione è minacciato da una seria riduzione delle entrate; le foglie secche delle imprese industriali si accumulano ovunque attorno a noi; i contadini non trovano mercato per ciò che producono; i risparmi di molti anni in molte migliaia di famiglie sono scomparsi.
Inoltre, ed è ancora più importante, molti cittadini disoccupati affrontano il severo problema dell’esistenza, e un numero ugualmente elevato si affatica al lavoro con scarsissimo profitto. Solo un pazzo ottimista può negare le lugubri realtà di questo momento. Tuttavia i nostri problemi non provengono da alcun fallimento sostanziale. Non siamo perseguitati dalla piaga delle cavallette. In confronto ai pericoli che i nostri progenitori superarono perché avevano fede e non avevano paura, abbiamo ancora molto da essere grati.
La natura continua a offrirci i suoi doni, e gli sforzi dell’uomo li hanno moltiplicati. L’abbondanza è dietro la porta, ma languiamo nel bisogno. Questo accade, in primo luogo, perché chi regola lo scambio dei beni ha fallito per la sua testardaggine e incompetenza, ha ammesso il fallimento, e ha abdicato.
Le pratiche degli operatori economici senza scrupoli sostengono ora l’accusa dell’opinione pubblica, e sono respinte dal cuore e dalla mente degli uomini.
In verità, hanno provato, ma i loro sforzi sono caduti nel modello di una tradizione già superata. Davanti alla crisi del credito, hanno proposto solo il prestito di più denaro. Mancando l’esca dei profitti con i quali indurre la gente a seguire la loro falsa leadership, hanno fatto ricorso alle implorazioni, supplicando lacrimosamente di ridar loro fiducia. Conoscono solo le regole di una generazione di egoisti. Non hanno una visione, un progetto per il futuro, e quando non ci sono progetti, il paese perisce.
I cambiavalute sono fuggiti, hanno abbandonato i loro seggi eretti nel tempio della nostra civiltà. Noi possiamo ora restituire questo tempio al culto delle antiche verità. La misura di questa restituzione sarà lo sforzo di considerare i valori sociali più nobili dei profitti monetari.
La felicità non consiste nel semplice possesso di denaro: consiste nella gioia della ricerca, nel brivido dello sforzo creativo. La gioia e lo stimolo morale del lavoro non devono essere ancora dimenticati nella folle caccia a profitti illusori. Questi giorni oscuri ci costano molto, ma avranno molto valore se ci insegneranno che il nostro destino non è di essere serviti, ma di servire noi stessi e i nostri concittadini.
Il riconoscimento della falsità della ricchezza materiale come standard di successo va di pari passo con l’abbandono della falsa credenza che gli uffici pubblici e le alte posizioni politiche debbano essere valutate solo con l’orgoglio delle cariche o con il profitto personale; e deve finire la condotta nell’attività bancaria e negli affari che troppo spesso ha dato a un’attività importantissima l’aspetto di un comportamento negativo, insensibile ed egoista.
C’é poco da meravigliarsi che la fiducia manchi, perché si basa solo sull’onestà, sull’onore, sulla giustizia dei contratti, sulla leale protezione, sul comportamento non egoista; senza queste basi, non sopravvive.
La ricostruzione richiede, comunque, non solo un cambiamento etico. Questa nazione chiede fatti, e fatti immediati.
Il nostro più importante compito è di rimettere la gente al lavoro. Non è un problema irrisolvibile, se lo affrontiamo con saggezza e coraggio. Potrà essere risolto da un lato tramite un reclutamento diretto da parte del governo stesso, trattando la questione come tratteremmo l’emergenza di una guerra, ma nello stesso tempo, attraverso questo impiego, portando a termine progetti estremamente necessari per stimolare e riorganizzare l’uso delle risorse naturali.
Ci sono molti modi in cui il compito può essere agevolato, ma la soluzione non sarà mai resa più agevole semplicemente parlandone. Dobbiamo agire, e subito.
Infine, nel nostro procedere verso la ripresa del lavoro, abbiamo bisogno di due salvaguardie contro il ritorno dei mali del vecchio ordinamento: ci deve essere una stretta supervisione sull’attività bancaria, il credito e gli investimenti, così che verrà posta fine alla speculazione con il denaro altrui; e deve essere prevista un’adeguata e sana circolazione monetaria.
Ricambierò la fiducia in me riposta con il coraggio e la dedizione che si addicono a questo momento. E’ il meno che possa fare. Chiediamo umilmente la benedizione di Dio. Possa proteggere ciascuno di noi, possa guidarmi nei giorni che verranno.

martedì 19 maggio 2009

Musica: "Fatalità" di Ornella Vanoni



Quando basso e pesante il cielo grava
Come un coperchio al gemebondo spirito
Preda di lunghe accidie, e a noi, abbracciando
Tutto il cerchio dell'orizzonte, versa
Un buio lume, più triste che notte;
Quando la terra si trasforma in umido
Carcere dove la Speranza, come
Un pipistrello, se ne va sbattendo
Contro i muri la sua timida ala,
Urtando il capo a putridi soffitti;
Quando la pioggia, stendendo le sue
Immense strisce, imita le sbarre
D'una vasta prigione, e un muto popolo
Di ragni infami al fondo del cervello
Viene a tenderci le sue reti, - a un tratto
Campane erompono furiose e lanciano
Verso il cielo uno spaventoso urlo,
Come spiriti erranti e senza patria
Che diano in gemiti, ostinatamente.
E dei lunghi, funerei cortei
Vanno sfilando nell'anima mia
Senza tamburi né musica, lenti.
È in lacrime, ormai vinta, la Speranza;
L'atroce Angoscia mi pianta, dispotica,
Sul cranio chino il suo vessillo nero.



Amici, concittadini, romani! Prestatemi orecchio. Io vengo a seppellire Cesare, non a lodarlo.
Il male che gli uomini fanno sopravvive loro, il bene è spesso sotterrato con le loro ossa.
Così sia per Cesare.
Il nobile Bruto vi ha detto che Cesare era ambizioso.
Se ciò era vero, quella fu una grave colpa, e gravemente Cesare l’ha scontata.
Qui, con il permesso di Bruto e degli altri (perché Bruto è uomo d’onore, e così sono tutti, tutti uomini d’onore) io vengo a parlare al funerale di Cesare.
Egli era mio amico, leale e giusto con me; ma Bruto dice che era ambizioso, e Bruto è uomo d’onore.
Egli ha portato molti prigionieri a Roma, il cui riscatto ha riempito le casse dell’erario: fu questo un atto di ambizione?
Quando i poveri hanno pianto, Cesare ha pianto. L’ambizione dovrebbe essere fatta di più dura stoffa.
Tuttavia, Bruto dice che era ambizioso, e Bruto è uomo d’onore.
Tutti voi avete visto che alla festa dei Lupercali io gli ho offerto tre volte una corona regale, che lui tre volte ha rifiutato.
Era ambizione, questa?
Tuttavia, Bruto dice che era ambizioso, e certamente Bruto è uomo d’onore.
Io non parlo per smentire ciò che Bruto ha detto, ma sono qui per dire quello che so.
Tutti voi lo amavate un tempo, non senza ragione; quale ragione vi trattiene allora dal piangerlo?
O giudizio, ti sei rifugiato presso bestie brute, e gli uomini hanno perso la ragione.
Abbiate pazienza, il mio cuore è nella bara, lì, con Cesare, e devo fermarmi fino a che non ritorni a me.
Solo ieri la parola di Cesare avrebbe potuto reggere contro il mondo intero; ora egli giace lì, e non c’è nessuno così misero da concedergli riverenza.
O Signori, se io fossi disposto ad agitare i vostri cuori e le vostre menti alla rivolta e al furore, farei torto a Bruto, e torto a Cassio, i quali, voi tutti lo sapete, sono uomini d’onore.
Non farò loro torto; preferisco fare torto al morto, fare torto a me stesso, e a voi, piuttosto che fare torto a siffatti uomini d’onore.
Ma ecco una pergamena col sigillo di Cesare; l’ho trovata nel suo studio; è il suo testamento.
Se solo il popolo udisse questo testamento, che, perdonatemi, io non intendo leggere, tutti andrebbero a baciare le ferite di Cesare morto e a immergere i fazzoletti nel suo sangue sacro; sì, e a mendicare un suo capello per ricordo e, morendo, ne farebbero menzione nel testamento, lasciandolo come una ricchezza alla loro discendenza.
Abbiate pazienza, gentili amici; non devo leggerlo.
Non è opportuno che sappiate quanto Cesare vi amava.
Non siete legni, non siete pietre, ma uomini; ed, essendo uomini, ascoltare il testamento di Cesare vi infiammerà, vi renderà folli.
E’ bene che non sappiate che voi siete i suoi eredi; perché, se lo sapeste, che cosa ne seguirebbe?

Film: "Harry ti presento Sally" di Rob Reiner

Musica: "L'amore trasparente" di Ivano Fossati

Poesia: "Tempi brutti per la poesia" di Bertold Brecht




Sì, lo so: solo il felice
È amato. La sua voce
È ascoltata con piacere. La sua faccia è bella.

L'albero deforme nel cortile
È frutto del terreno cattivo, ma
Quelli che passano gli danno dello storpio
E hanno ragione.

Le barche verdi e le vele allegre della baia
Io non le vedo. Soprattutto
Vedo la rete strappata del pescatore.
Perché parlo solo del fatto
Che la colona quarantenne cammina in modo curvo?
I seni delle ragazze
Sono caldi come sempre.

Una rima in una mia canzone
Mi sembrerebbe quasi una spavalderia.

In me si combattono
L'entusiasmo per il melo in fiore
E il terrore per i discorsi dell'imbianchino
Ma solo il secondo
Mi spinge alla scrivania.

(L'imbianchino è Adolf Hitler)

Testo: "(1868 – 1948) Discorso tenuto da Gandhi alla Conferenza delle relazioni interasiatiche, New Delhi"



Signora Presidente e amici, non credo di dovermi scusare con voi per il fatto che sono costretto a parlare in una lingua straniera. Chissà se questi altoparlanti porteranno la mia voce fino ai confini di questo immenso pubblico. Quelli di voi che sono lontani possono alzare la mano, se sentono quello che dico? Sentite? Bene. Bene, se la mia voce non vi giunge, non è colpa mia, ma colpa degli altoparlanti.

Quello che volevo dirvi è che non devo scusarmi. Non oso, visti tutti i delegati che si sono riuniti qua da tutta l’Asia, e gli osservatori – ho imparato questa parola pronunciata da un amico americano che disse: “Non sono un delegato, sono un osservatore”. Di primo impatto con lui, vi assicuro, pensavo venisse dalla Persia, ma ecco davanti a me un americano e gli dico: “Sono terrorizzato da te, e vorrei che mi lasciassi stare”. Potete immaginare un americano che mi lasci stare? Non lui e, quindi, ho dovuto parlargli.

Quello che volevo dirvi è che il mio idioma per me madrelingua, non lo potete capire, e non voglio insultarvi insistendo su di esso. Il linguaggio nazionale, Hindustani, ci metterà tanto tempo prima di rivaleggiare con un linguaggio internazionale.

Se ci deve essere rivalità, c’è rivalità tra francese e inglese. Per il commercio internazionale, indubbiamente l’inglese occupa il primo posto. Per discorsi e corrispondenza diplomatici, sentivo dire quando studiavo da ragazzo che il francese era la lingua della diplomazia e se volevi andare da una parte all’altra dell’Europa dovevi provare ad imparare un po’ di francese, e quindi ho provato ad imparare qualche parola di francese per riuscire a farmi capire. Comunque, se ci deve essere rivalità, la rivalità potrebbe nascere tra francese e inglese. Quindi, avendo imparato l’inglese, è naturale che faccia ricorso a questa parlata internazionale per rivolgermi a voi.

Mi chiedevo di cosa dovessi parlarvi. Volevo raccogliere i miei pensieri, ma lasciate che sia onesto con voi, non ne ho avuto il tempo.

Però ieri ho comunque promesso che avrei provato a dirvi qualche parola.

Mentre venivo con Badshah Khan, ho chiesto un piccolo pezzo di carta ed una matita. Ho ricevuto una penna invece di una matita. Ho provato a scarabocchiare qualche parola. Vi spiacerà sentirmi dire che quel pezzo di carta non è qui con me. Ma questo non importa, ricordo cosa volevo enunciare, e mi sono detto: “I miei amici non hanno visto la vera India, e non ci stiamo incontrando in una conferenza nel cuore della vera India”.

Delhi, Bombay, Madras, Calcutta, Lahore – queste sono tutte grandi città e quindi, hanno subito l’influenza dell’Occidente, sono state fatte, magari eccetto Delhi ma non New Delhi, sono state fatte dagli inglesi. Poi ho pensato ad un breve saggio – credo che dovrei chiamarlo così – che era in francese. Era stato tradotto per me da un amico anglo-francese, e lui era un filosofo, era anche un uomo altruista e diceva che mi aveva dato la sua amicizia senza che io lo conoscessi, perché lui parteggiava per le minoranze ed io rappresentavo, assieme ai miei connazionali, una minoranza senza speranze, e non solo senza speranze ma una minoranza disprezzata.

Se gli europei del Sudafrica mi perdonano per quello che dico, eravamo tutti; [lavoratore non qualificato a basso costo]. Io ero un insignificante avvocato;. A quei tempi non avevamo dottori “coolie”, non avevamo avvocati. Ero il primo nel campo. Ma sempre un “coolie”. Magari sapete cosa si intende con la parola “coolie” ma questo mio amico, si chiamava Krof – sua madre era francese, suo padre inglese – disse: “Voglio tradurre per te una storia francese”.

Mi perdonerete, chi di voi sa la storia, se nel ricordarla faccio degli errori qua e là, ma non ci sarà nessun errore nell’avvenimento principale.

C’erano tre scienziati e – ovviamente è una storia inventata – tre scienziati uscirono dalla Francia, uscirono dall’Europa alla ricerca della “Verità”. Questa era la prima lezione che mi aveva insegnato quella storia, che se bisogna cercare la verità, non la si trova su suolo europeo. Quindi, indubbiamente neanche in America.

Questi tre grandi scienziati andarono in parti diverse dell’Asia. Uno trovò la strada per l’India e diede inizio alla sua ricerca. Raggiunse le cosiddette città di quei tempi. Naturalmente, ciò avvenne prima dell’occupazione inglese, prima anche del periodo Mughal, così è come ha illustrato la storia l’autore francese, ma visitò comunque le città, vide la gente delle cosiddette caste alte, uomini e donne, fino a che non si addentrò in un’umile casa, in un umile villaggio, e quella casa era una casa Bhangi, e trovò la verità che stava cercando, in quella casa Bhangi, nella famiglia Bhangi, uomo, donna, forse 2 o 3 bambini (lo dico come me lo ricordo) e poi lui descrive come la trovò. Tralascio tutto questo.

Voglio collegare questa storia a quello che voglio dire a voi, che se volete vedere il meglio dell’India, dovete trovarlo in una casa Bhangi, in un’umile casa Bhangi, o villaggi simili, 700.000 come ci insegnano gli storici inglesi. Un paio di città qua e là, non ospitano neanche qualche crore [unità di misura indiana che equivale a 10 milioni] di persone. Ma i 700.000 villaggi ospitano quasi 40 crore di persone. Ho detto quasi perché potremmo togliere una o due crore che stanno in città, comunque sarebbero 38 crore.

E poi mi sono detto, se questi amici sono qui senza trovare la vera India, per cosa saranno venuti? Ho poi pensato che vi pregherò di immaginare quest’India, non dal punto di vista di questo immenso pubblico ma per come potrebbe essere. Vorrei che leggeste una storia come questa storia dei francesi o altre ancora. Magari, qualcuno di voi vada a vedere qualche villaggio dell’India e allora troverà la vera India.

Oggi farò anche questa ammissione: non ne sarete affascinati alla vista. Dovrete raschiare sotto i mucchi di letame che sono oggi i nostri villaggi. Non voglio dire che siano mai stati dei paradisi. Ma oggi sono veramente dei mucchi di letame; non erano così prima, di questo sono abbastanza certo. Non l’ho appreso dalla storia ma da quello che ho visto io stesso dell’India, fisicamente con i miei occhi; e io ho viaggiato da una parte all’altra dell’India, ho visto i villaggi, i miserabili esemplari dell’umanità, gli occhi senza vita, eppure sono l’India, e ciononostante in quelle umili case, nel mezzo dei mucchi di letame troviamo gli umili Bhangis, dove troverete un concentrato di saggezza. Come? Questa è una grande domanda.

Bene, allora voglio illustrarvi un altro scenario. Di nuovo, ho imparato dai libri, libri scritti da storici inglesi, tradotti per me. Tutta questa ricca conoscenza, mi spiace dire, arriva qui da noi in India attraverso i libri inglesi, attraverso gli storici inglesi, non che non ci siano storici indiani ma neanche loro scrivono nella loro madrelingua, o nella loro lingua nazionale, Hindustani, o se preferite chiamarli due idiomi, Hindi e Urdu, due forme della stessa lingua. No, ci riferiscono quello che hanno studiato sui libri inglesi, magari gli originali, ma attraverso gli inglesi in inglese, questa è la conquista culturale dell’India, che l’India ha subito.

Ma ci dicono che la saggezza è arrivata dall’Occidente verso l’Oriente. E chi erano questi saggi? Zoroastro. Lui apparteneva all’Oriente. Fu seguito dal Buddha. Lui apparteneva all’Oriente, apparteneva all’India. Chi ha seguito il Buddha? Gesù, di nuovo dall’Asia. Prima di Gesù ci fu Musa, Mosè, che apparteneva anche lui alla Palestina, ma verificavo con Badshah Khan e Yunus Saheb ed entrambi sostenevano che Mosè appartenesse alla Palestina, sebbene fosse nato in Egitto. Poi venne Gesù, poi Mohammad. Tutti loro li tralascio. Tralascio Krishna, tralascio Mahavir, tralascio le altre luci, non le chiamerò luci minori, ma sconosciute in Occidente, sconosciute al mondo letterario.

In ogni modo, non conosco una singola persona che possa uguagliare questi uomini d’Asia. E poi cosa accadde? Il Cristianesimo, arrivando in Occidente, si è trasfigurato. Mi spiace dire questo, ma questa è la mia lettura. Non dirò altro al riguardo. Vi racconto questa storia per incoraggiarvi e per farvi capire, se il mio povero discorso può farvi capire, che lo splendore che vedete e tutto quello che vi mostrano le città indiane non è la vera India. Certamente, il massacro che avviene sotto i vostri occhi, mi dispiace, vergognoso come dicevo ieri, dovete seppellirlo qui. Il ricordo di questo massacro non deve oltrepassare i confini dell’India, ma quello che voglio voi capiate, se potete, è che il messaggio dell’Oriente, dell’Asia, non deve essere appreso attraverso la lente occidentale, o imitando gli orpelli, la polvere da sparo, la bomba atomica dell’Occidente.

Se volete dare di nuovo un messaggio all’Occidente, deve essere un messaggio di “Amore”, un messaggio di “Verità”.

Ci deve essere una conquista (applausi) per favore, per favore, per favore. Questo interferisce con il mio discorso, e interferisce anche con la vostra comprensione. Voglio catturare i vostri cuori, e non voglio ricevere i vostri applausi. Fate battere i vostri cuori all’unisono con le mie parole, e io credo che il mio lavoro sarà compiuto.Voglio lasciarvi con il pensiero che l’Asia debba conquistare l’Occidente. Poi, la domanda che mi ha fatto un mio amico ieri: “Se credevo in un mondo unico?”. Certo, credo in un mondo unico. Come posso fare diversamente, quando divento erede di un messaggio di amore che questi grandi, inconquistabili maestri ci hanno lasciato? Potete esprimere questo messaggio di nuovo ora, in questa era di democrazia, nell’era del risveglio dei più poveri dei poveri, potete esprimere questo messaggio con maggiore enfasi. Poi completerete la conquista di tutto l’Occidente, non attraverso la vendetta perché siete stati sfruttati, e nello sfruttamento voglio ovviamente includere l’Africa, e spero che quando vi reincontrerete in India la prossima volta ci sarete tutti: spero che voi, nazioni sfruttate della terra, vi incontrerete, se a quell’epoca ci saranno ancora nazioni sfruttate.

Ho forte fiducia che se unite i vostri cuori, non solo le vostre menti, e capite il segreto dei messaggi che i saggi uomini d’Oriente ci hanno lasciato, e che se veramente diventiamo, meritiamo e siamo degni di questo grande messaggio, allora capirete facilmente che la conquista dell’Occidente sarà stata completata e che questa conquista sarà amata anche dall’Occidente stesso.

L’Occidente di oggi desidera la saggezza. L’Occidente di oggi è disperato per la proliferazione della bomba atomica, perché significa una completa distruzione, non solo dell’Occidente, ma la distruzione del mondo, come se la profezia della Bibbia si avverasse e ci fosse un vero e proprio diluvio universale. Voglia il cielo che non ci sia quel diluvio, e non a causa degli errori degli umani contro se stessi. Sta a voi consegnare il messaggio al mondo, non solo all’Asia, e liberare il mondo dalla malvagità, da quel peccato.

Questa è la preziosa eredità che i vostri maestri, i miei maestri, ci hanno lasciato.

lunedì 18 maggio 2009

Video: "Un giorno di ordinaria follia" di Joel Schumacher

Musica: "Non mi innamoro più" di Ornella Vanoni.

Poesia: "Nulla accade due volte" di Wislawa Szymborska




Nulla due volte accade
né accadrà. Per tal ragione
si nasce senza esperienza,
si muore senza assuefazione.

Anche agli alunni più ottusi
della scuola del pianeta
di ripeter non è dato
le stagioni del passato.

Non c’è giorno che ritorni,
non due notti uguali uguali,
né due baci somiglianti,
né due sguardi tali e quali.

Ieri, quando il tuo nome
qualcuno ha pronunciato,
mi è parso che una rosa
sbocciasse sul selciato.

Oggi, che stiamo insieme,
ho rivolto gli occhi altrove.
Una rosa? Ma cos’è?
Forse pietra, o forse fiore?

Perchè tu, malvagia ora,
dài paura e incertezza?
Ci sei – perciò devi passare.
Passerai – e qui sta la bellezza.

Cercheremo un’armonia,
sorridenti tra le braccia,
anche se siamo diversi
come due gocce d’acqua.

Testo: "Una questione di interesse" di Antony De Mello




Un agricoltore, il cui grano vinceva sempre il primo premio alla fiera regionale, aveva l'abitudine di dividere i semi migliori con tutti i contadini del vicinato.

Quando gli chiesero perché, egli rispose:
"In realtà lo faccio per interesse.
Il vento solleva il polline e lo trasporta
da un campo all'altro. Perciò se i miei vicini
coltivassero un grano di qualità inferiore,
l'impollinazione crociata impoverirebbe
la qualità del mio raccolto.
Ecco perché ci tengo che essi piantino
solo i semi migliori".

Tutto ciò che diamo agli altri
Lo diamo a noi stessi.

Musica: "Come foglie" di Malika Ayane

Poesia: "I bambini" di Rabindranath Tagore




I bambini si incontrano
sulla spiaggia di mondi sconfinati.
Su di loro l’infinito cielo
è silenzioso, l’acqua s'increspa.
Con gridi e salti si incontrano i bambini
sulla spiaggia di mondi sconfinati.
Fanno castelli di sabbia
e giocano con vuote conchiglie.
Con foglie secche intessono barchette
e sorridendo le fanno galleggiare
sull’immensa distesa del mare.
I bambini giocano sulla riva dei mondi.
Non sanno nuotare,
non sanno gettare le reti.
I pescatori si tuffano a pescare
le perle dal fondo del mare,
nelle navi viaggiano i mercanti,
mentre raccolgono i bambini
sassolini che poi gettano via.
Non cercano tesori nascosti,
non sanno gettare le reti.
Il mare si increspa di mille sorrisi,
e la spiaggia dolcemente risuona.
Le onde che portano la morte
cantano ai bambini nenie senza senso,
come fa la madre
quando culla la sua creatura.
Il mare gioca coi bambini,
e la spiaggia dolcemente risuona.
S'incontrano i bambini
sulla riva di mondi sconfinati.
Vaga la tempesta
per il cielo dai molti sentieri,
naufragano navi
nell'acqua dai molti sentieri,
la morte in giro e giocano i bambini.
C'è un grande convegno di bambini
sulla spiaggia di mondi sconfinati.

Testo: "Il negozione della verità" di Anthony De Mello



Non potevo credere ai miei occhi
quando lessi l'insegna del negozio:
IL NEGOZIO DELLA VERITA'.
Li vendevano la verità.

La commessa fu molto cortese: che tipo
di verità desideravo acquistare,
la verità parziale o la verità totale?

La verità totale, ovviamente.

Niente falsità per me, nessuna difesa,
nessuna razionalizzazione. Volevo la mia verità
pura e semplice e tutta quanta.

Mi indicò l'altro lato del negozio,
dove si vendeva la verità totale.

Il commesso che era là mi guardò
con commiserazione e indicò il cartellino
del prezzo. "Il prezzo è molto alto, signore", disse.

"Quant'è?", chiesi io, deciso ad ottenere
la verità totale a tutti i costi.
"Se lei prende questa", disse,
"dovrà pagarla perdendo il riposo
per il resto della sua vita".

Uscii tristemente dal negozio.
Avevo creduto di poter avere tutta la verità
per un prezzo modesto. Non sono ancora pronto
per la verità. Desidero ardentemente pace
e riposo di tanto in tanto. Ho ancora bisogno
di ingannarmi un pò con le mie difese
e razionalizzazioni. Cerco ancora
il rifugio delle mie convizioni indiscusse.


venerdì 15 maggio 2009

Cinema: "Auguri professore" di Riccardo Milani

Musica: "Musa" dei Marlene Kuntz

Poesia: "Piaghe d'amore" di Federico Garcia Lorca



La luce, questo fuoco che consuma.
Questo paesaggio grigio che m'attornia.
Questa pena per quest'idea una.
Quest'angoscia di cielo e terra e d'ora.
Questo sangue di lacrime
che illustra
inerte lira, torcia senza presa.
Questo urto del mare e la sua frusta.
Questo scorpione entro di me in attesa.
Serto d'amore, branda di ferito
sono ove sogno insonne la presenza
tua fra queste macerie del mio petto,
e se un vertice cerco di prudenza
il tuo cuore mi dà un dirupo fitto
di cicuta e affanno d'amara scienza.

Cinema: "Fight club" di David Fincher

Musica: "Tree little birds" di Bob Marley

Poesia: "Aspettando i barbari" di Kostantinos Kavafis




Perché non vengono anche gli illustri
oratori a perorare come sempre?
Oggi arrivano i barbari
e i barbari disprezzano eloquenza e arringhe.

Perché tutt'a un tratto questa smania
e quest'incertezza? (oh, come i volti si fanno seri).
Perché si svuotano le strade e le piazze
e tutti tornano preoccupati alle loro case?

Perché è notte fonda e i barbari non vengono.
E' arrivata certa gente dai confini
e spiega che i barbari non ci sono più.

Come potremo fare senza i barbari?
A conti fatti, erano una buona soluzione.

domenica 3 maggio 2009

Poesia: "Se devi amarmi" di Elizabeth Barret Browning




Se devi amarmi, per null'altro sia
se non che per amore.
Mai non dire:
"L'amo per il sorriso,
per lo sguardo,
la gentilezza del parlare,
il modo di pensare
così conforme al mio,
che mi rese sereno un giorno".
Queste son tutte cose
che posson mutare,
Amato, in sé o per te, un amore
così sorto potrebbe poi morire.
E non amarmi per pietà di lacrime
che bagnino il mio volto.
Può scordare il pianto
chi ebbe a lungo
il tuo conforto, e perderti.
Soltanto per amore amami
e per sempre, per l'eternità.

Cinema: "Matrix" dei fratelli Wachowski

Musica: "Meravigliosa creatura" di Gianna Nannini.

Poesia: "In questa notte d'autunno" di Nazim Hikmet





In questa notte d'autunno
sono pieno delle tue parole
parole eterne come il tempo
come la materia
parole pesanti come la mano
scintillanti come le stelle.
Dalla tua testa dalla tua carne
dal tuo cuore
mi sono giunte le tue parole
le tue parole cariche di te
le tue parole, madre
le tue parole, amore
le tue parole, amica
Erano tristi, amare
erano allegre, piene di speranza
erano coraggiose, eroiche
le tue parole
erano uomini.

sabato 2 maggio 2009

Cinema: un video in ricordo di tutta l'opera di Pier Paolo Pasolini.

Musica: "Come foglie" di Malika Ayane

Poesia: "Non ho bisogno di te" di Vladimir Majakovskij




Tanto lo so
tra breve creperò
se davvero tu esisti
o Dio
o mio Dio
se fossi tu a tessere il tappeto stellato
se questo tormento ogni giorno moltiplicato
è per me un tuo esperimento
indossa la toga curiale.
La mia visita attendi
sarò puntuale
non tarderò ventiquattr'ore.
Ascoltami
altissimo inquisitore!